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[ESCLUSIVA] CRISTINA E IL CINEMA – Un aperitivo con Cristina Puccinelli

Il parchimetro esige almeno cinquanta centesimi. Ne ho quarantacinque. Mi incammino in cerca di un bar, un caffè e un implicito cambio moneta. Mi fiondo dentro il primo che incontro, ma quando capisco che stanno per chiudere è tardi e così resto lì, interdetto, davanti al bancone. Il padrone mi squadra, accenno un sorriso e alla fine concludiamo tacitamente l’affare: lui mi fa il caffè e io, grato, lo butto giù come una tequila bum bum mentre già me ne sto andando.

In strada compongo il numero di Cristina Puccinelli. Attrice, autrice di cortometraggi pluripremiati, organizzatrice di eventi di cinema e di teatro, ci dovremmo incontrare nella cornice del Lucca Film Festival per una chiacchierata sul suo nuovo progetto.

Non è raggiungibile e allora perdo tempo avviandomi verso il centro città.  Lucca mi piace per diversi motivi. Uno di questi è che anche nei momenti più affollati ti regala sempre un angolo di tranquillità, un vicolo tutto per te, uno scorcio di arte silenziosa dentro cui passeggiare.
Il mio telefono squilla: è Cristina.
Ci diamo appuntamento presso quel bar che si apre su una delle più belle piazze di Lucca, quella del Duomo.
Una volta seduti davanti a due spritz, Cristina indica un punto dietro le mie spalle e mi chiede: “Sei sicuro di non voler intervistare lui?”
Mi volto. “Lui” è il premio Oscar Paolo Sorrentino.
È qui per il Festival dove ha appena terminato una masterclass.

“Figurati, troppo facile, tutti intervisterebbero lui, mi devo pur distinguere, no?”
Anche la cameriera annuisce a queste parole, ma forse mi sta solo prendendo per il culo. In verità quando incontro una persona di grande successo mi chiedo sempre cosa possa davvero raccontare, nascosta dietro inevitabili pose, relazioni da mantenere, contratti firmati e ancora da firmare.
Sono qui per Cristina. Quando attacco il Registratore-App lasciamo cadere l’argomento Sorrentino e i suoi capolavori veri o presunti e ne segue una piacevolissima chiacchierata di un’ora.
Cristina si racconta con una suggestiva miscela di inflessioni toscane e romane. Sa ascoltare, si ricorda perfettamente di un progetto di cui avevamo parlato alcuni anni fa.

STEFANO NICOLETTI: Quello che penso è che dei film è meglio parlarne prima che dopo, perché quando poi lo vedi il film parla da sé e ognuno lo filtra con le sue esperienze. E poi può far differenza se lo vedi al cinema da solo o a casa in compagnia…

CRISTINA PUCCINELLI: Certo, può cambiare totalmente, magari in compagnia ti trasmette un’energia diversa… Il punto secondo me è che ci sono storie che ti toccano e altre di cui non ti frega nulla, perché non ti appartengono. Per esempio io non riesco a vedere l’horror, ho difficoltà a entrarci in contatto, è una cosa mia, magari perché le mie paure mi piace svilupparle in un modo diverso. Invece ho una passione per i film che affrontano i modi dell’essere, gli stati emotivi, il grottesco, le storie che fanno piangere e ridere… anche i western, i film in costume faccio fatica a entrarci dentro, soprattutto quando c’è quella messa in scena impomatata che non racconta davvero. Quando c’è una storia forte come in Maria Antonietta o l’ultimo Garrone invece…

Al tavolo accanto si alza un brindisi che ci distrae. C’è un gruppo di diciottenni che alza i calici per brindare “Alla patente!”. Cristina accenna all’illusione della libertà legata a questa conquista, io al fatto che se continuano a brindare così, tra un paio d’ore potrebbero non averla già più, la patente.

CP: L’umana disillusione è un po’ il tema del corto nuovo, “Stella Amore”. Il momento in cui scopri che Babbo Natale non esiste. A volte ti piace continuare a crederci, più spesso i bambini vogliono continuare a crederci perché altrimenti si possono scordare i regali… Così impari a stare al gioco. Vivendo nel cinema, ho scritto questa storia in cui una bambina entra in questo complessissimo mondo, che è tutta una lotta. Il mio primo giorno di set da attrice mi ha dato ispirazione: ricordo che fui convocata prestissimo, truccata uno schifo, conciata uno schifo, dovetti aspettare fino a metà pomeriggio per poi sentirmi dire “Dai sbrigate che ggioca la Roma”. Nel corto racconto la disillusione più vera, quella che passa dallo sguardo disincantato di una bimba.

La scheda del corto Stella Amore sul sito del Festival di Cannes

SN: Lo stai ancora ultimando, giusto?

CP: Sì, anche se un primo montaggio sarà presentato a Cannes, posso ancora modificare qualcosa e sto cercando di capire quale strada precisa fargli prendere tra le mille suggestioni possibili. Stavolta sono stata comunque molto fedele alla sceneggiatura, anche nel montaggio, aiutata anche dal fatto che l’ultima stesura non l’ho scritta da sola.

SN: Il tuo primo corto (premiatissimo) è di quasi dieci anni fa, come ti senti di esser progredita nei meccanismi della narrazione?

CP: Sì, il primo corto è del 2007, questo che sto ultimando è il quinto, alcuni sono stati un po’ delle prove, però il primo, girato con un unico piano sequenza, era un lavoro sottile, sul ruolo, qualcosa che piaceva molto alla critica e faceva dire ad altri: “Ma che davvero ha vinto questo?”. La critica rimase contenta, poi li ho subito delusi (ride) passando a commedie un po’ più di intrattenimento… Oggi Sorrentino diceva una cosa fondamentale: la grande magia del cinema è avere un messaggio e riuscire a comunicarlo, a farlo arrivare. La forza narrativa del primo corto forse era superiore a quella degli altri. “Eppure io l’amavo”, l’ultimo realizzato, anche se è sempre stato girato con mezzi limitati era di un livello tecnico superiore.

Il primo corto da regista di Cristina Puccinelli “Allora… ciao” (2007)

CP: Il nuovo lavoro è stato girato in sei giorni, anche se ne sarebbero serviti almeno un paio in più. In alcuni momenti sul set c’erano settanta persone e dare a tutti il giusto humus non è stato semplice. Nel corto si alternano ventidue attori che girano intorno alla bimba protagonista e le scene corali sono state difficilissime da raccontare, in più la produzione ha impostato il lavoro come se si trattasse di lavorare quattro o cinque settimane, quindi sono stati fiscali nel rispetto del programma. Ma la più brava è stata la bimba, ci ha sorpreso tutti, io la guardavo e dicevo: “Ma… è un mostro, è perfetta!”. Incredibile.

SN: Come l’hai selezionata?

CP: Ho provinato tantissimi bambini tramite varie agenzie, ma nessuno mi convinceva. Una sera ho visto questa bimba in un ristorante, mi ha colpito la sua spigliatezza, ho chiesto il permesso al suo papà e poi l’ho ricontattata a distanza di qualche mese. L’ho rivista poi un paio di settimane prima delle riprese, per provare le battute, la memoria, l’ho fatta un po’ giocare… Mentre il produttore mi mandava in paranoia dicendomi “Se hai sbagliato la bambina puoi chiudere subito!”. E aveva ragione, perché a quei ritmi se non fosse stata adatta sarebbe stata una tragedia.

SN: Qualche sera fa ho sentito Ruggero Deodato dire, “Sì, non facevo film da 23 anni, ma in fondo il cinema non mi è mancato”

CP: Credo che le persone cambino e che lui quando era giovane si sia senz’altro sfogato, no? Anch’io ti confesso che oggi sento più la voglia di vivere la mia vita rispetto a qualche anno fa. Poi sai cosa? ogni regista si deve caratterizzare in qualche modo, fare il personaggio, se vuole emergere… voglio dire: il regista è anche un personaggio!

SN: Tra i registi emergenti mi sembra di notare che ci sia più una ricerca della grande società di produzione piuttosto che della grande storia da girare, che ne pensi?

CP: Io mi sono data da fare parecchio per uscire dal meccanismo dell’auto produzione e una produzione vera ti permette di accedere a soluzioni, a location, che altrimenti sarebbero irraggiungibili. E’ vero che così devi sottostare a regole produttive più stringenti.

SN: Cos’è che da attrice hai subìto e che invece non farai mai a un altro attore?

CP: Questa la so (e ride). Si entra nelle dinamiche caratteriali, di gesti che alcune persone farebbero a chiunque, indipendente dal fatto di essere il regista. Ne ho sentito raccontare più di una volta ed è successo anche a me. Io ho il massimo rispetto degli attori, perché so che è difficile, che se non entri nella parte non è una cosa che scende dal cielo e il regista dovrebbe aiutarti, metterti a tuo agio, perché se ti urla in faccia è solo peggio. Poi che c’entra, mi fanno arrabbiare anche a me, eh!

“Eppure io l’amavo”, il corto del 2013 di Cristina anch’esso premiatissimo e trasmesso anche su Sky, è stato invitato al Prato Film festival che a giugno dedica una retrospettiva a Pietro Germi. Mentre i neopatentati vanno a far danni altrove e cala un silenzio insperato, finiamo a parlare di quel cinema che riusciamo a definire senza patemi “capolavoro”: Pietro Germi, Elio Petri… film con storie forti, non riducibili alla dicotomia “film impegnato o cinepanettone”.

CP: Ci sono film francesi, dell’Europa del nord o anche Inglesi o indipendenti americani che riescono a metterci dentro un mondo intero, dove ogni personaggio è un mondo, tipo…

Esattamente nel momento in cui sto pensando a “Little Miss Sunshine”, Cristina dice “Little Miss Sunshine”.

SN: Il nonno eroinomane è fantastico.

CP: È perfetto. Che je voi dì a un film così?

Tra cinque minuti inizia la premiazione di Romero.
Ci salutiamo e mi rituffo dentro i vicoli di Lucca. Dopo questa chiacchierata sul cinema insieme a chi lo vive con questa passione, mi sembra di portarmi dietro il riflesso di una certa luce polverosa da proiettore, che sul finale non vorresti mai veder dissolversi.


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