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Alla ricerca di un film perduto. Intervista a Cristiana Astori

Il 1970 è stato l’anno in cui le cose per l’attrice Soledad Miranda iniziavano a girare per il verso giusto. Dopo anni di anonimato girava con il regista Jesus Franco Il conte Dracula recitando il ruolo di Lucy a fianco di Christopher Lee. Franco vedeva in lei un fascino che le altre attrici non avevano: un misto di dolcezza e sensualità, di eros e thanatos che si fondevano nel suo sguardo. Dopo questo film la richiamava nello stesso anno anche per Vampyros Lesbos e She Killed in ecstasy film un po’ più spinti per i quali utilizza una volta lo pseudonimo di Susann Korda. Tutto sembrava andare per Soledad a gonfie vele. Il 18 agosto 1970 invece tutto improvvisamente finisce. L’attrice, impegnata sul set di un altro film di Franco, Una venere senza nome per l’ispettore Forrester, viaggiava con il marito José Manuel da Conceiçao Simoens lungo la strada dell’Estoril vicino Lisbona. L’auto su cui si trovavano si scontra con un camion, nello schianto Soledad resta uccisa mentre il marito -ex pilota di rally- rimane illeso.Fatto inquietante è che sei anni prima in quella stessa strada i due avevano girato Un dia en Lisboa un cortometraggio che sparisce nel nulla e che si crede per questa coincidenza sfortunata maledetto.A Torino quaranta anni dopo Susanna, una ragazza che non ne può più di fare la cameriera in una squallida pizzeria, riceve la proposta di ritrovare quella pellicola.

Tutto quel nero è la storia di questa ricerca che porta la protagonista in un mondo sotterraneo che ignorava del tutto. Autrice del romanzo (Giallo Mondadori n° 3041 – ottobre 2011) è Cristiana Astori che noi del klub 99 abbiamo intervistato riuscendole a strappare anche qualche anticipazione sui suoi prossimi progetti.

Klub 99: Quando ti si è accesa la lampadina? Quando hai capito che valeva la pena di scrivere il tuo romanzo Tutto quel nero?

Cristiana Astori: Quando ho visto il Dracula di Jess Franco, la scena in cui Christopher Lee morde Lucy/Soledad Miranda. Lo sguardo di lei mi ha inquietato più di quello del Conte e ho sentito che andava raccontato.

KTutto quel nero è un titolo polisemico, si riferisce al buio della sala cinematografica, simboleggia l’oblio che circonda i film perduti di cui parli, il lato oscuro dell’animo umano. È così? C’è dell’altro?

C. A.: Le tematiche che hai citato ci sono tutte. In più il nero si riferisce all’amnesia post traumatica che investe uno dei personaggi (non anticipo quale per spoiler), amnesia simboleggiata a livello cinematografico dalla dissolvenza in nero che tutto cancella. Inoltre è il colore che rimanda direttamente alla Morte, che è il tema e la chiave di risoluzione della storia.

K: Il tuo romanzo parla di film scomparsi ma anche di ossessioni. Tu sei laureata in psicologia. Quanto hanno influenzato i tuoi studi nel descrivere certi meccanismi psicologici?

C. A.: Sicuramente mi hanno influenzato parecchio. La psicoanalisi, soprattutto quella junghiana, ti permette di guardare i fatti in trasparenza e nello stesso tempo di cogliere le motivazioni nascoste di molti comportamenti, anche i più insoliti. Edgar Allan Poe ha visto bene: è la mente umana a custodire gli orrori più inquietanti.

K: La protagonista Susanna è una lavoratrice precaria che senza pensarci troppo accetta un lavoro anomalo (ritrovare il film perduto Un dìa en Lisboa) ma ben retribuito. Volevi fare una critica contro il mondo del lavoro di oggi o più semplicemente dare alla tua protagonista un lavoro più credibile?

C. A.: Be’ in effetti vista la situazione dei precari oggi credo che molti accetterebbero di cercare una pellicola maledetta, anche per una cifra molto più bassa… scherzi a parte, la mia idea era quella di creare non un’eroina invulnerabile, ma una persona vera con difficoltà e problemi legati alla realtà. Inoltre non amo i personaggi fuori dal mondo, quelli che nei romanzi non sai mai che mestiere fanno oppure scopri che suonano il violoncello, scrivono poesie o hanno un’agenzia investigativa come nei noir anni Cinquanta. La mia prima domanda è: okay, ma come tirate avanti?

K: Parlaci un po’ delle inquietanti coincidenze e immedesimazioni progressive di Susanna con Soledad Miranda, musa di Jesus Franco e protagonista del corto Un dìa en Lisboa che Susanna deve ritrovare, eventi che (sappiamo) in qualche modo hanno invaso la realtà contagiando anche te.

C. A.: Non vorrei anticipare troppo il contenuto del libro, per chi ancora non l’avesse letto. È vero comunque che Tutto quel nero ha dato origine a un gioco di identificazioni progressive, in particolare io stessa non ho potuto fare a meno di immedesimarmi in Susanna, la protagonista, perché come lei ho dovuto mettermi in cerca della famosa pellicola maledetta per poterla descrivere nella storia. Quando alla fine mi ero rassegnata a considerare Un dìa en Lisboa e tutto ciò che ci sta dietro una semplice leggenda metropolitana, il film è venuto fuori. Il ritrovamento è stato merito di Carlos Aguilar, critico madrileno e grande esperto di Jess Franco e della Miranda che l’ha rinvenuto alla Cineteca di Madrid, in un’unica copia. La cosa inspiegabile è che quando ho visionato il film mi sono accorta che era identico a quello che avevo inventato per esigenze narrative. I misteri inoltre non si fermano qui, anzi, più mi documentavo più le coincidenze aumentavano. Posso dire inoltre che tutto ciò che è realistico nel libro è stato inventato, mentre per descrivere i fatti più inquietanti non ho dovuto creare nulla, mi è bastato ispirarmi a ciò che mi è stato raccontato o che ho scoperto attraverso le ricerche.

K: Nella stesura del romanzo ci sono state delle influenze letterarie?

C. A.: Certo, ma non solo. Adoro il cinema e la mia idea era quella di riuscire a riprodurre attraverso le parole lo stile e l’atmosfera di registi e film che mi hanno appassionato. Per quanto riguarda la letteratura mi sono ispirata al noir di Jim Thompson e Richard Stark, all’horror di Henry JamesStephen King e Edgar Allan Poe, alla detection classica di Agatha Christie, ma anche a Joe R. LansdaleJoyce Carol Oates e Patrick Mc Grath. Le influenze cinefile vanno da Cronenberg a Lynch, a John Carpenter, ma soprattutto al giallo italiano anni Settanta (Umberto LenziMario BavaDario ArgentoSergio Martino) e, ovviamente, ai film di Jesus Franco con la Miranda.

K: Quanto ci hai messo per scriverlo?

C. A.: Tanto. Troppo. Più di un anno, compreso il tempo di documentarmi e anche di tradurre un paio di Dexter e altri romanzi. Anche se forse ci ho messo più tempo per pubblicarlo. Sembrava che sul romanzo incombesse una strana maledizione per cui veniva rifiutato da tutte le case editrici, soprattutto perché parlava di un’attrice sconosciuta morta negli anni Settanta. Poi per fortuna Sergio Altieri e Franco Forte, editor Mondadori, hanno creduto nella mia storia.

K: «Una scrittrice di storie lucide e taglienti, una stella brillante che diffonde rapidamente il suo chiarore nei cieli della letteratura». Quando hai letto questa frase che Joe Lansdale ti ha dedicato per il lancio del tuo Il re dei topi e altre favole oscure cos’hai pensato? Qual è il suo romanzo che preferisci?

C. A.: Be’ quando l’ho letta sono praticamente svenuta. Lansdale mi ha insegnato molto a livello di scrittura, ne apprezzo la capacità affabulatoria, le metafore sempre incisive e l’ironia che anziché distanziarti dalla storia ha il potere di coinvolgerti ancora di più. Scegliere tra i suoi libri è arduo; potrei citare tre titoli a cui sono legata: La notte del drive in (Einaudi, n. d. r.) perché descrive alla perfezione le sensazioni che provavo quando andavo a vedere i film horror da ragazzina, Maneggiare con cura (Fanucci, n. d. r.), perché contiene storie fulminanti come Nel deserto delle cadillac con i mortiPiccole suture sulla schiena di un morto e Un signor giardiniere, e infine Fiamma fredda (Fanucci, n. d. r.) per come riesce a essere spietato e insieme toccante nel descrivere una storia di freak.

K: Questa è la vera domanda cretina. Nell’ipotesi di un sequel di Tutto quel nero, e i fan spingono in quella direzione, Susanna riuscirà a laurearsi?

C. A.: Sì, sempre se riuscirà a sopravvivere. Perché stavolta sarà proprio la sua tesi a cacciarla nei guai.

K: Miglior film del 2011?

C. A.Drive. Refn è uno che sa raccontare. È uno dei rari casi in cui il film è superiore al romanzo. Starei a guardare quella pellicola per ore senza stancarmi.

K.: Prossimi progetti?

C. A.: A marzo uscirà in ebook per Milano Nera un mio racconto sempre di ispirazione cinefila: il primo esperimento di slasher letterario e insieme la sua parodia. Per tutti quelli che, come direbbe Lansdale, “non andarono all’horror show.” Per il resto ci sono un po’ di cose che bollono in pentola, ma taccio per scaramanzia…


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