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[RECENSIONE] Begotten (E. Elias Merhige)

Begotten è un film del 1991 ed è opera prima di E. Elias Merhige (qui accreditato come Edmund E. Merhige), che sarà poi molto conosciuto grazie a titoli come L’Ombra del Vampiro e Suspect Zero, ma soprattutto grazie al grande favore pubblicitario fattogli da Marilyn Manson con i suoi videoclip. “Begotten” è il participio passato del verbo inglese beget (quindi significa “generato”).

Definito dalla critica – certa critica -“ostico, respingente; che si potrebbe definire anti-cinematografico”. Spesso etichettato come sperimentale, snob ed elitario ma che è in realtà “oggetto estremamente peculiare che riscrive i linguaggi filmici” (eh, si… meno male che a noi poveri spettatori, la realtà ed i film ce li spiegano i critici!).

So di andare controcorrente… ci son cose che in Italia non andrebbero toccate, come il calcio o Mina.

Ci son cose che per le fazioni “fan-club” dell’horror (italiani e non)… anche… come questo film. Ma di snob, purtroppo, c’è solo l’atteggiamento di alcuni che osannano questo film sperimentale come un capolavoro, proprio perchè non ha un senso… e loro si autoesaltano ed autoproclamano geni, credendo di avercene trovato dentro più di uno.

È popolare il detto che i critici non son altro che “artisti falliti”, capaci di criticare, stando seduti, chi vola. O di innalzare chi proprio non riesce a volare. In un’opera come questa (voglio essere cattiva o sarcastica) un fallito forse può vedere la speranza di farcela anche lui… e per questo la difende.

So di andare controcorrente, dicevo… ma non lo faccio per snobberia o ignoranza… è che davvero, semplicemente, questo film se non brutto è noioso, pretenzioso, a tratti anche una furbata pensata per “farlo strano”.

Come avrete capito, il film preso in esame è alla fine solo un pretesto per analizzare il rapporto fra un certo modo SBAGLIATO di fare critica, e le opere “ermetiche”… o quelle che sono semplicemente brutte. Roberto Campari, professore di Storia e critica del cinema dell’Università di Parma sostiene che: “Sebbene tutti si sentano in grado di giudicare un film, come una partita di calcio, esistono dei criteri oggettivi”. Il punto, secondo il docente, è cercare di superare le attinenze col proprio modo di pensare, la personale visione della pellicola, tentando di calarsi all’interno dell’opera.

Grazie ai titoli di testa e (soprattutto di coda) comprendiamo l’esile trama/pretesto con cui ci viene sciorinato un’ora e mezzo di niente (e se fosse durato 10 minuti forse avrebbe funzionato, ma dico… forse): il personaggio che si suicida all’inizio è Dio, e dalla sua morte viene generata Madre Natura che, masturbando il cadavere, genera il Figlio della terra. Successivamente Madre e Figlio si recheranno nel mondo degli uomini, dove l’entità “generata” sarà crudelmente martoriata dagli stessi (di cui, tra l’altro, non vediamo nessuno in volto, quasi a volerli rappresentare tutti) assieme alla madre. Nel finale, dalla morte dei due protagonisti si generano nuove piante e fiori.

Quanta originale poesia… e dire che chi difende questo film, trova poi noiose le opere di Pasolini! C’è chi scomoda perfino paragoni con Eraserhead (1977, David Lynch) definendo questa un’opera “sicuramente non alla portata di tutti” farcita di violenza esagerata ed esasperata. È evidente che chi scrive non ha mai visto un qualsiasi film estremo con dentro un po’ di poesia… e non son pochi.

Immagini spesso poco chiare e molto confuse, rimandano ai film muti, passione indubbia di Merhige come ci dimostra ne L’ombra del vampiro, a cui è rimasto sempre troppo debitore. Pare ci siano voluti ben 8 mesi per conferire al tutto l’effetto pellicola. Era così necessario? Perché mi chiedo, per sperimentare qualcosa che sia nuovo, lo si fa mascherandolo di antico? Per dare un tocco di retrò intellettuale a qualcosa che in fondo non lo è? Per rendere così meno definite e più profonde immagini che altrimenti rischierebbero di essere solo “povere”? 8 mesi per dare un effetto pellicola ad un film che sembra girato in 3 giorni; e perché non girarlo direttamente in pellicola allora? Dozzinali effetti, Dozzinali costumi e maschere… ma ovvio, È TUTTO VOLUTO e chi non lo apprezza è IGNORANTE di ARTE.

Pensate che l’attore ha perfino vinto da qualche parte un premio come miglior interprete… e dire che Richard Burton o Johnny Deep non han mai vinto nemmeno un Oscar. Strano il mondo dell’arte è? No caro pubblico, torna padrone dei tuoi giudizi… È arte ciò che ti emoziona e se questo film lo riesce a fare… buon per te. Se non lo fa, non sentirti ignorante, probabilmente sei a posto.

Basta leggere i commenti nei blog, nei DVD forum, sotto i link di youtube o sotto le entusiaste recensioni… valanghe di pollici versi. Per carità il popolo del web è incazzato col mondo e si sa… ma quando c’è sempre un abisso fra le recensioni ed il parere popolare io le domande me le pongo. Su IMDB ad esempio il film raggiunge la sufficienza con la media dei voti di oltre 7000 utenti. La “rete” ha creato una situazione in cui, senza aggiungere valore o aggiungendone relativamente poco alla crescita di un discorso critico, crea una forte incidenza sui comportamenti del consumatore. Il ruolo della critica oggi è ancora forte ma diventa difficile essere sicuri di quello che si legge. La rete è il luogo dell’incertezza perpetua.

Ma perché l’artista dovrebbe essere disturbato dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che non possono creare dovrebbero arrogarsi la valutazione dell’opera creativa? Che possono saperne? Se l’opera di un uomo è facile da capire, la spiegazione è superflua… E se è incomprensibile, spiegarla è una cattiveria. Non siamo davanti ad Eraserhead, tantomeno a Carnival of Souls.

Se non amassi così tanto La corazzata Potëmkin (che, divertente parodia di Fantozzi a parte, inviterei a vedere perché tutto è tranne che noioso) potrei dire che questa C…A PAZZESCA è la POTEMKIN dell’horror!

Non sto dicendo che Begotten è totalmente brutto, forse proprio gli 8 mesi di post produzione lo han reso “una interessante visione”… ho apprezzato anzi la scelta dei suoni della natura come compendio al visivo. Ma oggettivamente questo è un film sufficiente, che se non fosse grazie a Manson sarebbe rimasto dimenticato sul Tubo dopo la prima visione. Sicuramente è lontano dalla parola “capolavoro” di cui si abusa troppo facilmente oggi.

La cosa più interessante – in conclusione – dopo che sarete arrivati (forse) fino a questo punto della lettura, dandomi (probabilmente) della “mentecatta” e incompentente, è osservare che Merhige stesso si prende molto meno sul serio di quanto facciano i suoi esalati sostenitori:

“Provo a capire quali siano i miei limiti. Ad esempio, quando guardo a qualcosa come Begotten – che è un lavoro completamente ossessivo e trascendente – io sono capace di guardarlo e di esaminare me stesso… e di me stesso ridere un po’”.

“È bello perchè ricorda LYNCH ANZI LO SUPERA! È bello perchè rimanda ai film espressionisti! È bello perchè ricorda la versione lunga del filmino di THE RING! È bello perchè elabora i simbolismi azzardati da Jorg Buttgereit in Der Todesking! È bello perchè rimanda a TETSUO di Tsukamoto! E’ bello perchè è debitore all’URLO di Munch” (no, non sto giocando… son purtroppo estratti di vere recensioni).

Approfondire quello che vediamo fa paura, perché argomentare un’opera o una mostra significa ridimensionarla, mettendo in discussione il dispositivo retorico che giustifica e legittima gli stessi addetti ai lavori. Ed ecco che il problema-pubblico si collega al problema-critica: molto meglio non pensare, non argomentare, e giustificare una vendita o una mostra mostrando il “curriculum” degli individui coinvolti (dopo ha fatto questo e quello, durante ricorda questo e quell’altro). …e siccome tutti citano tutto… allora per il gran finale rafforzo la mia “recensione/tesi” con una citazione da William Hazlitt:

“Mentre nel pensiero scientifico nessuno citerebbe più Tolomeo o Aristotele per spiegare il mondo, nel campo umanistico il pensiero è sempre orizzontale e compresente, non esistono superamenti. Mai sentirete dire che Dante è stato superato, anzi il contrario. Il letterato, per definizione, cita, e ogni citazione ha lo stesso valore conoscitivo di qualsiasi altra. Da Platone a Kant, da Ariosto a Manzoni, la cultura letteraria e filosofica è una fabbrica di citazioni senza tempo, immobili, pietrificate. Non sanno niente delle particelle elementari di Copenaghen, se gli dici atomo ti citano Democrito e stanno bene così. Anzi se ne vantano. In altre parole un cimitero popolato di mummie parlanti. Il critico, in fondo, è uno «che prende la saggezza in prestito agli altri».”.

Caro spettatore “ignorante”, ascolta la saggezza che è dentro di te.


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