Sean (Emile Hirsch) e Ben (Max Minghella) sono due giovani americani a Mosca per vendere una loro idea. Il tempo di vedersela soffiare dallo svedese senza scrupoli Skyler (Joel Kinnaman), di prendersi una mezza sbronza per dimenticare la sola, di conoscere due americane (Olivia Thirlby e Rachael Taylor) in un locale che si scatena l’inferno. Dal cielo arrivano dei cattivissimi alieni invisibili che in una notte polverizzano la popolazione. I quattro chiaramente sopravvivono al micidiale attacco e insieme a Skyler si mettono alla ricerca di altri superstiti e di un sistema per sconfiggere i bastardi.
Durante il viaggio qualcuno incontreranno, qualcuno morirà ma sono morti necessarie per un finale decisamente roseo che si preannuncia durante tutta la pellicola, vuoi per l’ironia o per i continui progressi dei protagonisti. Tutto già visto, trito e ritrito almeno per quanto riguarda gli sviluppi della storia. Anche questa volta l’invasore (in visita distruttiva perché abbiamo qualcosa che lui non ha) viene rimandato a casa perché l’uomo è troppo forte e furbo per finire male.
La novità de L’ora nera sta nell’invasione invisibile, concetto già sfruttato in realtà durante gli anni ’50 e ’60 in piena guerra fredda, basti pensare a L’invasione degli ultracorpi, Gli invasori spaziali, Destinazione Terra o Ho sposato un mostro venuto dallo spazio. Qui grazie alla GCI si supera l’idea che l’invisibilità si celi dietro sembianze umane ma è poca cosa perché, appunto, non cambia il fondo (la sostanza) ma solamente la forma (l’apparenza). Stiamo però parlando di un film in 3D pensato per incassare dindi e basta, quindi di che lamentarsi? Semmai del fatto che il ritmo non è sempre altissimo, anzi spesso cala vertiginosamente lasciando lo spettatore annoiato e questo da un blockbuster non possiamo proprio tollerarlo.
L’ora nera è una copoduzione USA/Russia (voluta da Timur Bekmambetov, Tom Jacobson e altri) diretta da Chris Gorak uno che nel cinema ha lavorato quasi sempre in ambiti scenografici.
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