Si esce frastornati dalla visione de La Zona d’interesse di Jonathan Glazer.
Una rappresentazione del nazismo in tutte le sue orride sfaccettature a cominciare dal protagonista Rudolf Höss (Christian Friedel), così devoto al nazionalsocialismo di Hitler da costruirsi una villa accanto al campo di concentramento di Auschwitz che gestisce.
Lì vive insieme alla moglie, ai numerosi figli, e a un gruppo di collaboratori domestici. A pochi metri l’orrore che tutti sappiamo ma che non ci viene mai mostrato esplicitamente*: bastano i fumi neri uscenti dalle enormi ciminiere, urla e colpi di armi da fuoco fuori campo, le chiacchiere da salotto sui nascondigli preferiti dagli ebrei.
Nessuno dei protagonisti de La Zona d’interesse di Jonathan Glazer manifesta sensi di colpa, pentimento, neanche l’idea che la pacchia prima o poi potrebbe finire. Edwig (Sandra Hüller), la coniuge di Höss, minaccia di morte la povera cameriera al primo perdonabilissimo errore. Sua madre (Imogen Kogge), in visita da loro, le dice: “Sei cascata proprio in piedi”. Neanche i giovani figli (Luis Noah Witte) si salvano da questo meccanismo perverso che fa della malvagità la normalità.
Sono mostri dall’aspetto umano, capaci anche di umanità e di buoni sentimenti solo però se si tratta di interagire con un parente o un amico, ma non di empatia verso lo sconosciuto che muore atrocemente a pochi metri. Anzi si pianifica con glaciale indifferenza l’ottimizzazione dei forni crematori.
Jonathan Glazer (Under the skin) racconta la capacità umana di voltarsi dall’altra parte, negando l’evidenza dell’orrore (pensiamo alla pianta rampicante sul muro del campo pensata per non vedere), ignorandolo, dandolo per normale.
Tratto dal romanzo omonimo di Martin Amis (pubblicato da Einaudi), La Zona d’interesse di Jonathan Glazer (gran premio speciale della giuria a Cannes 2023) è distribuito nelle sale da I Wonder Pictures.
*: un po’ come nel film Arrivederci Ragazzi (1987) di Louis Malle.
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