Sempre alla ricerca di visioni originali, ho cercato Luigi Pastore per parlare del suo nuovo thriller, Deliriumpsike, un progetto improntato alla più grande libertà. Luigi ci ha raccontato molto anche di sé, della sua visione del cinema, di un nuovo modo di lavorare.
STEFANO NICOLETTI: C’è un discreto e nemmeno tanto silenzioso ritorno al giallo nelle produzioni indipendenti. Cos’è che affascina tanto nel giallo all’italiana?
LUIGI PASTORE: Per quanto mi riguarda, in questo momento trovo il genere horror troppo ripiegato su se stesso. Stessi cliché ripetuti fino alla nausea, atmosfere da videogioco, abuso del digitale, insomma è un genere che sento molto lontano dai miei interessi. Anch’io, lo ammetto, sono caduto nella trappola di un filmaccio horror splatter come Violent Shit – The Movie, che se potessi tornare indietro non rifarei proprio per i troppi condizionamenti che ho subìto durante la lavorazione. Trovo più interessante ritornare al thriller d’atmosfera, cosa che già avrei voluto fare con La Fiaba di Dorian ma che non ho più avuto voglia di riprendere dopo la scomparsa della sua protagonista. Adesso, dopo una lunga pausa di riflessione, sento di voler raccontare una storia che è nata quasi spontaneamente in un periodo particolare della mia vita. È un po’ un ritorno alle origini, come accade al protagonista e come è accaduto anche a me per vicende personali che mi hanno costretto a ritornare di frequente nei luoghi della mia infanzia. Giù in Puglia, infatti, ho una vecchia casa di famiglia vicino al mare, priva di ogni comfort moderno, che per anni è rimasta quasi abbandonata. Vi ho trascorso buona parte dell’autunno e anche qualche settimana in pieno inverno, scaldandomi solo con la legna nel caminetto e una piccola stufa. Ho riscoperto il piacere della solitudine, anche se soffrivo contemporaneamente i miei stati d’animo contrastanti e la lontananza dai miei affetti, ma questa vena malinconica e la precarietà della mia condizione hanno fatto leva sulla creatività ed è venuta fuori una storia molto particolare di cui però cerco di mantenere l’assoluta segretezza. Ho acquistato un grosso quaderno e ho scritto tutto a mano, non voglio far leggere niente a nessuno e l’ho nascosto in un luogo sicuro. Quando arriverà il momento di girare, darò agli attori solo i fogli con le battute stampate e loro dovranno fidarsi di me. Tutto quello che ho già raccontato, tutto quello che ho pubblicato e che continuerò a pubblicare sulla pagina social del film, sono solo suggestioni che hanno comunque una sorta di legame con la storia vera e propria.
SN: Deliriumpsike sembra parlare di follia. Ci sono ispirazioni di cronaca o riferimenti alla nostra confusa situazione sociale di questi giorni?
LP: No, non ci sono riferimenti alla cronaca ed è ben lontano dalla nostra realtà quotidiana. Il Deliriumpsike è solo una definizione, una parola inventata per descrivere uno stato mentale che è il preludio della follia. È un titolo che mi porto dentro da molti anni ma che avevo quasi dimenticato ed è ritornato quando ho riaperto una vecchia scatola, dove conservavo alcune musicassette su cui da ragazzo ho inciso dei brani da me composti al pianoforte. Uno di questi si intitolava proprio così e mi ha fatto ricordare quella forte passione originaria che mi ha spinto poi ad intraprendere questa strada. Non sono un musicista professionista, anche se da bambino ho studiato pianoforte per cinque anni, ma riascoltando quelle registrazioni mi sono convinto di comporre anche la colonna sonora del film con l’aiuto di mio fratello Simone, lui sì musicista e arrangiatore professionista, con cui ho già avuto modo di collaborare per completare la colonna sonora di Come una Crisalide.
SN: Cosa si può aspettare il pubblico che ha apprezzato il tuo precedente “Come una crisalide”? C’è un fil rouge che lega questi film?
LP: Deliriumpsike sarà molto diverso da Come una crisalide, proprio perché avverto questa esigenza di non riproporre cose già viste ma di osare con qualcosa di nuovo. Forse il fil rouge sarà lo stesso spirito con cui intendo girarlo, con assoluta libertà, cercando quella sperimentazione anche in termini visivi e con una certa anarchia espressiva.
SN: La produzione coinvolgerà il pubblico con iniziative di crowdfunding o simili? Sappiamo che accadrà qualcosa il 13 ottobre in merito al film: ci puoi anticipare qualcosa?
L.P.: Cerco sempre di ottimizzare i costi di un film, grazie anche all’esperienza maturata negli anni. Tuttavia una produzione ha bisogno comunque di un budget, anche se piccolo, perché chi lavora deve essere gratificato per il tempo che sta dedicando al tuo progetto. Così ho pensato di proporre un crowdfunding alternativo, in cui metterò all’asta degli oggetti di scena utilizzati nei miei film precedenti. Ma offrirò anche dei pacchetti turistici per trascorrere dei “weekend del terrore” proprio nella mia vecchia casa sul mare, che nel frattempo ho iniziato a ristrutturare e che utilizzerò anche come location del film. Accoglierò i miei ospiti organizzando per loro tour misteriosi, sedute spiritiche, proiezioni di film (anche miei si intende), ma soprattutto deliziandoli con la cucina pugliese.
Buon cinema e buon appetito, dunque. Il progetto può essere seguito sulla pagina Facebook dedicata.
Il cinema ci allena a guardare il mondo con distacco, eppur col massimo coinvolgimento. A immaginare, potendo pur tornare alla realtà. A giocare col fuoco, bruciandoci quel tanto che basta a farci sentire vivi. Sono un formatore in competenze relazionali, appassionato di racconti e di sviluppo personale.
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