La regia più personale ed innovativa del nuovo millennio, ce la offre David Lowery col suo Storia di un fantasma (t. o. A Ghost Story) (2017) scegliendo la via della sottrazione: una cornice 4:3 invece dei formati superpanoramici tanto ricercati, un montaggio quasi assente (dello stesso regista) fatto di piani lunghissimi, come quasi assenti sono i movimenti di macchina. Tutto il film sembra una vecchia foto, totali abbondano a discapito dei primi piani, così come i silenzi e le assenze di dialogo.
Questa scelta ci catapulta dentro la mente e la solitudine dei 2 protagonisti (l’affiatata coppia Casey Affleck/Rooney Mara che il regista aveva già diretto nel suo Senza santi in paradiso) e ci rende partecipi delle loro vite (e nel caso del fantasma, della sua non-vita sospesa nel tempo e nelle dimensioni).
Inserito dalla critica fra i migliori 100 film del decennio, e presentato/premiato a vari fest internazionali (dal Sundance a Sitges) A Ghost Story più che una storia di fantasmi è un dramma della memoria, delle solitudini e del tempo che passa, della malinconia dell’esser testimoni della propria assenza. È da sottolineare – con ammirazione – che un film così lontano dal “rumore” dei meccanismi mainstream (che oramai necessitano di olio) arrivi dopo la produzione Disney “Il drago invisibile” (Pete’s Dragon, 2016) remake del film “Elliott il drago invisibile” del 1977: questo denota la personalità ed il carattere di un giovane autore che sa cosa vuole… e che vuole raccontarlo a modo suo, costi quel che costi.
L’iconografia del fantasma è delle più classiche e buffe: coperto dal lenzuolo.
Sembra che il lenzuolo che accompagna i fantasmi sia quello con cui muoriamo (bianco da obitorio nel caso del nostro protagonista, a fiorellini e rétro quello del “vicino di casa”) e il cui candore, risente comunque del passare dei secoli.
Questa iconografia, fu ripresa già nel 2012 (ma in modo decisamente più inquietante), nel film Revenant (An American ghost story) di Derek Cole, purtroppo da noi poco noto ed inedito in Home Video. L’efficacia dei corpi impalpabili che si rivelano grazie ai lenzuoli credo abbiano ben più che ispirato James Wan nella realizzazione (il successivo anno) di The Conjuring, che presenta più di qualche similitudine/intuizione visiva.
Struggente la scena dei due fantasmi alla finestra, legati/intrappolati a un luogo… a un ricordo… fino al punto di dimenticarlo e trascinarsi giorno per giorno nell’attesa di qualcosa: solo la presa di coscienza potrà renderci liberi. Cosa ha scritto la sua donna sul foglietto, prima di lasciare per sempre quella casa? Diventa una ossessione per il nostro fantasma, ma alla fine del film non avrà nemmeno più importanza scoprirlo anche se la sparizione dell’altro spettro – dopo la demolizione della casa – ci dà una chiave di lettura molto precisa.
Le scene in cui vediamo – narrate con grande maestria – le transizioni temporali susseguirsi, fino al futuro, sono mozzafiato.
Ed i mondi paralleli, densi di predestinazione e spettrali giochi di luce ci ricordano tantissimo gli stilemi di Kieslowski ne La doppia vita di Veronica. Come in questo film poi, la musica qui ha un ruolo fondamentale.
Strepitoso il sound design che diventa un terzo attore, e l’essenziale ma puntualmente emozionante musica di Daniel Hart, frontman del gruppo Dark Rooms autori/esecutori del bellissimo brano I Get Overwelmed che la donna ascolta per riconnettersi col suo amato perduto.
Fondamentale per la riuscita di un film simile sono anche le scenografie ma, soprattutto, la fotografia di Andrew Droz Palermo che pur apparendo realistica, in realtà è una sofisticata miscela di chiaroscuri Caravaggeschi e contrasti di luci calde/fredde che mirano sempre a far spiccare lo spettro in modo scultoreo. Prima di questo film Andrew Droz aveva alle spalle una infinita lista di cortometraggi, e fa davvero bene al cuore vedere che un prodotto simile e di simile qualità sia il frutto di un team giovane, affiatato e scelto per meriti e non necessariamente per altisonanza di nomi.
CONSIGLIATO. Storia di un fantasma di David Lowery è un capolavoro senza dubbio, e senza abusare della parola.
Il tempo è il nostro bene più prezioso. È ciò che una volta perso non ci verrà restituito, per questa ragione bisogna sfruttarlo nel miglior modo possibile, cogliendo tutta la bellezza e l’importanza del presente, senza farsi ossessionare e perseguitare dal passato o da cosa potrà avvenire nel futuro.
Per citare Omar Khayyam: “Sii felice per questo momento. Questo momento è la tua vita.”
Salve! Io mi chiamo Antonietta Masina e… già, con un nome così, non potevo che amare il cinema.
Son quindi cresciuta fra scherzi, assonanze e rimandi…ad una delle attrici (e muse) più immense; non potevo non conoscere lei (Ovvio, parlo di Giulietta Masina!) ed i film che ha interpretato; grandi film di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Alle medie, il mio nome venne rielaborato dai compagni di classe in “Antonomasia” e, mentre le altre bambine giocavano con i principi azzurri, io sognavo… sognavo quei cappelli, quei costumi, quei colori… che mi portavano su altri piani di realtà nonostante Fellini stesso affermasse “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Ai tempi del liceo poi, si parlava spesso con amici su quale fosse la “Birra per Antonomasia”, “la Canzone per Antonomasia” o “il Film per Antonomasia”… che quasi predestinata, scelsi poi di studiare comunicazione per poter lavorare in questo campo, e far sì che “Antonomasia” in persona potesse rispondere alle loro domande!
Chi scrive è una ragazza, anzi, una “persona” che ama il cinema; Il cinema quello fatto con passione, con serietà, ma non seriosità; il cinema condiviso e discusso con chi lo ama, con chi va al cinema (e andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì).
Ho una forte predilezione per il cinema fantastico ed horror, il mio fine non è solo quello di condividere i miei pensieri o recensire un film specifico (NON sono un critico, né conosco tutto… anzi, ho molti limiti e carenze che spero di colmare), ma anche discutere sulle motivazioni ed i sottotesti di interi generi.
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