Mortal di André Øvredal lancia un messaggio potente e diretto contro gli Stati Uniti d’America. Dice a gran voce che gli ammerricani sono un popolo di prepotenti e di ladri. Saccheggiatori che, tra i tanti furti, hanno preso un mito europeo come quello di Thor per trasformarlo in un fumetto e poi in una serie di film hollywoodiani di gran successo.
Mortal si riappropria della sua divinità in maniera libera e creativa. Lo fa attraverso un film in cui un ragazzo americano (Nat Wolff) scopre le sue origini nordeuropee e divine in un viaggio in Norvegia. Lì si ritrova braccato dall’esercito statunitense, arrivato per spadroneggiare come al solito (visti i suoi poteri distruttivi e ancora non del tutto da lui controllabili).
Denuncia i soprusi degli americani attraverso un racconto che ha la struttura e l’appeal spettacolare dei film commerciali statunitensi. A questi però mancano, e Mortal di André Øvredal colma la lacuna, cattiveria, un temperamento cupo, un finale devastante e incazzato nero che ci fa urlare insieme al solitario protagonista.
C’è poi da considerare che Mortal è il lavoro che segna il ritorno del regista nella sua nazione dopo le esperienze statunitensi di Autopsy e Scary Stories to tell in the dark. Un rientro che ha il sapore di una vera e propria urgenza, più che artistica, culturale. Una disintossicazione dai mali del Nuovo Mondo.
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