Dopo una parentesi horror, Fulci torna al giallo nel 1982 con Lo Squartatore di New York, ma lo fa portandosi appresso tutti gli strascichi di violenza maturata in film come Zombie 2 o L’aldilà.
Considerato fra i thriller più violenti mai fatti, è anche uno dei più cupi e spietati del regista romano.
Come per Non si sevizia un paperino, 7 note in nero o Una lucertola dalla pelle di donna, il meccanismo giallo è qui impeccabile e perfettamente funzionante: non ci sono sbavature, non ci sono paradossi e forzature come spesso accade in Argento, dove la credibilità della trama gialla lascia spesso spazio a fantasiose suggestioni e deviazioni che poco han a che fare con i meccanismi del genere.
Fulci dissemina il film di continui indizi per farci capire chi è l’assassino, con altrettanti falsi campanelli di allarme, più – spoiler – la trovata geniale di mostracelo a metà film – spoiler – mostrandoci delitti di rara crudeltà, con effetti realistici (stavolta affidati a Franco Di Girolamo e Rosario Prestopino) fotografati magistralmente da Luigi Kuveiller (Profondo Rosso, Dracula cerca sangue di Vergine, Il mostro è in tavola). Grande cura dei personaggi e sfumature, rendono questo fra i migliori film di Fulci e dell’intera decade.
Ogni personaggio è disegnato con attenzione e sempre un velo di disperazione (l’omosessualità nascosta dello psicologo, la coppia “borghese e aperta”, il poliziotto che va a prostitute per cercare un po’ di affetto) e in particolar modo lasciano il segno due camei: quello dell’uomo ad inizio film, solo col suo cane e con un abbigliamento molto trasandato… mentre sullo sfondo svetta il ponte di Brooklyn, e non si capisce se sia un homeless, ma in USA quanti se ne vedono così, al limite della sopravvivenza… una nazione divisa fra ricchezza e povertà assoluta. L’altro cameo è quello della padrona di casa della prima vittima, una signora sola, che avrebbe tanta voglia di parlare (e lo fa) pur rendendosi conto che ciò che dice non interessa a nessuno.
La versione italiana era massacrata dai tagli, fra cui alcune scene riguardanti lo psicologo (interpretato da uno dei fedeli del regista, Paolo Malco) e la sua assistente (Barbara Cupisti) e ovviamente le scene cruente. Fulci sottolinea in una sequenza l’omosessualità del personaggio interpretato da Malco, lasciando intuire che a voler morte quelle belle donne possa essere appunto un omosessuale, in perfetta linea con certe filosofie argentiane dell’epoca che voleva il “diverso” inquadrato come un/il possibile mostro.
Incredibilmente generose anche le scene di sesso e di erotismo morboso, davvero insolite per Fulci, ma che son davvero funzionali e mai gratuite, regalandoci anche alcuni nudi integrali per ambo i sessi.
Nel cast nomi di spicco e che diventeranno poi molto famosi come Andrea Occhipinti, Howard Ross (al secolo Renato Rossini, attore noto per aver interpretato oltre 80 peplum grazie al suo fisico statuario) e l’icona Zora Kerowa (Antropophagus, Cannibal Ferox), mentre meno fortunata è stata la carriera di Almanta Keller (aka Almanta Suska) che dopo l’ottima prova da protagonista in questo film, ha fatto alcune serie TV per poi sparire nel nulla.
Immancabili le autocitazioni fulciane: dal primo piano della mano ritrovata (come in Zombie 2) all’occhio torturato della povera Daniela Doria (Quella villa, Paura) fino alla presenza del pupazzo di uno dei nipotini di Paperino, come nel cult Nono si sevizia un Paperino.
A quanto pare, a rendere introvabile l’assassino (oltre che causa dei delitti) doveva essere la PROGERIA, una malattia degenerativa dei tessuti, che provoca un rapido invecchiamento. Fulci preferì modificare lo script sotto questo aspetto, e gli stessi sceneggiatori (Clerici e Mannino) rivendettero la stessa ottima idea a Ruggero Deodato, che la trasformò nel gioiello misconosciuto Un delitto poco comune. Curiosamente questa stessa tematica sarà poi affrontata un anno dopo nel film Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott.
Film da recuperare. Lo consiglio nella magnifica edizione della BLUE UNDERGROUND… la label nientepopodimeno di William Lustig (si, il regista di Maniac!) che sta rieditando in edizioni magnifiche – complete di audio italiano – e succosi extras, tutti i film del bistrattato maestro.
Salve! Io mi chiamo Antonietta Masina e… già, con un nome così, non potevo che amare il cinema.
Son quindi cresciuta fra scherzi, assonanze e rimandi…ad una delle attrici (e muse) più immense; non potevo non conoscere lei (Ovvio, parlo di Giulietta Masina!) ed i film che ha interpretato; grandi film di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Alle medie, il mio nome venne rielaborato dai compagni di classe in “Antonomasia” e, mentre le altre bambine giocavano con i principi azzurri, io sognavo… sognavo quei cappelli, quei costumi, quei colori… che mi portavano su altri piani di realtà nonostante Fellini stesso affermasse “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Ai tempi del liceo poi, si parlava spesso con amici su quale fosse la “Birra per Antonomasia”, “la Canzone per Antonomasia” o “il Film per Antonomasia”… che quasi predestinata, scelsi poi di studiare comunicazione per poter lavorare in questo campo, e far sì che “Antonomasia” in persona potesse rispondere alle loro domande!
Chi scrive è una ragazza, anzi, una “persona” che ama il cinema; Il cinema quello fatto con passione, con serietà, ma non seriosità; il cinema condiviso e discusso con chi lo ama, con chi va al cinema (e andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì).
Ho una forte predilezione per il cinema fantastico ed horror, il mio fine non è solo quello di condividere i miei pensieri o recensire un film specifico (NON sono un critico, né conosco tutto… anzi, ho molti limiti e carenze che spero di colmare), ma anche discutere sulle motivazioni ed i sottotesti di interi generi.
Lascia un commento