Per il suo cinquantesimo compleanno il cult del cinema horror Non Aprite Quella Porta di Tobe Hooper tornerà restaurato in 4k nelle sale dal 23 al 25 settembre.
Distribuiscono, esclusivamente in lingua originale sottotitolata in italiano, Midnight Factory e Plaion Pictures.
Una uscita che si accompagna con la nuova e già disponibile edizione fisica 4k della Midnight Factory.
Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) è uno di quei film che ha dimostrato la forza e l’inventiva del cinema indipendente statunitense degli anni ’70. Un cinema che è stato capace di rinnovare i generi catapultando l’horror dentro la società americana.
Un’idea apparentemente semplice, banale, che in realtà dimostra la capacità anche del cinema del terrore di comprendere, e raccontare, la vera natura violenta del popolo statunitense. L’ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi, Halloween, e Non aprite quella porta hanno per protagonisti americani vittime di altri americani, squinternati e senza la minima empatia.
Sul film di Hooper ci torniamo volentieri sopra (qui uno specialino per i quarant’anni) anche perché i sottotesti politici sono davvero tanti.
La famiglia cannibale di Faccia di Pelle rappresenta ad esempio in diversi modi la classe conservatrice (e il patriarcato) mentre il gruppo delle vittime, Franklin e amici, tratteggia la controcultura, il mondo dei giovani.
Quello che va in scena in Non Aprite Quella Porta quindi è un vero e proprio scontro generazionale e culturale.
I ragazzi protagonisti fanno una brutta fine perché al nuovo non è permesso di avanzare se è il vecchio a comandare. E se avanza, o prende l’iniziativa, sbaglia, anzi si condanna a morte, anche se le sue intenzioni sono buone.
Nella realtà le cose non vanno poi così diversamente, anzi il film in questo senso è sempre attuale perché negli Stati Uniti c’è e ci sarà ancora il cittadino che spara a chi entra nella sua proprietà privata. Succede in Italia, figuriamoci lì.
Nel film di Tobe Hooper ai poveri ragazzi accade qualcosa di simile. La decimazione ha inizio per loro dal momento in cui entrano nella proprietà privata della famiglia di Leatherface. Ed è la povera Pam a pagare per prima le conseguenze della violazione di domicilio.
Mi piace pensare che se si fossero tenuti alla larga dalla loro proprietà si sarebbero salvati.
Invece di “decimazione” volevo scrivere “carneficina” ma Non Aprite Quella Porta non è un film splatter: le violenze sono atroci ma avvengono fuori campo. Mossa azzeccata di Tobe Hooper ma non alla portata di tutti, perché quando non hai i soldi devi avere l’ingegno. La scelta del giovane regista è quindi quella di insinuare il disagio attraverso suggerimenti. Ed il reparto scenografico dà un bel contributo all’ottimo risultato. Le stanze sporche e disordinate con il loro arredamento macabro alla Ed Gein riescono a far sentire il cattivo odore della casa. Sono i suoni stridenti della colonna sonora a far crescere l’ansia, i suoi riverberi.
Non aprite quella porta reintroduce nel cinema dell’orrore l’elemento della maschera.
Rispetto però ai romanticismi da Fantasma dell’Opera dove serviva semplicemente per coprire il volto sfigurato, qui la maschera di Leatherface diventa il mezzo per esprimere al meglio non solo la folle personalità di chi la indossa ma anche l’assenza di una figura sociale: costruita con pezzi di pelle umana (sempre alla maniera di Ed Gein), nella cena finale con la final girl Marilyn Burns e tutta la folle famiglia riunita verrà anche truccata grottescamente con rossetto, ombretto e tutto il resto come per riempire la mancanza nel loro gruppo sociale di una figura femminile.
Con l’uscita in 4k di Non aprite quella porta, che verrà distribuito (ricordiamolo) solo in lingua originale con i sottotitoli in italiano, si rende omaggio ad un film imprescindibile della storia del cinema che non ha perso assolutamente nulla in quanto a potenza, critica politica e sociale.
Un discorso a parte andrebbe fatto sulle influenze che la pellicola di Tobe Hooper ha generato, sui tanti registi che lo hanno omaggiato. E se pare d’obbligo in questi casi nominare sempre il solito horror La Casa 2 di Raimi, per via della motosega di Ash, vorrei invece portare l’esempio del violento dramma metropolitano Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese. Lì il titolo del film appare sul tabellone di un cinema, come a voler anticipare la carneficina del folle giustiziere Travis. Mica male.
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