C’è un po’ tutto il catalogo dei più abusati luoghi comuni del cinema horror nel film malese Don’t Look At The Demon di Brando Lee.
Dalla troupe televisiva che si occupa di paranormale, con la sua protagonista veggente dal passato oscuro rimosso, alla casa infestata con la sua bella cantina, le sue stanze segrete, le porte che si chiudono da sole, le apparizioni improvvise di fantasmi, fino ad arrivare alle solite possessioni e levitazioni con il demone che parla con la vociona dimostrando di conoscere la storia trascorsa dei protagonisti.
Un po’ dispiace perché alcune cose non sono male, soprattutto i temi legati alla gestazione e alla maternità, importanti ma che passano in secondo piano, affacciandosi solamente verso la fine.
Un argomento -quello della gravidanze- che si lega alle tradizioni malesi sul paranormale, insieme ad altre suggestioni locali collegate a tatuaggi e medaglioni protettori. Considerando il cast internazionale, e quindi una (facile) distribuzione mondiale, approfondire sugli sconosciuti costumi della Malesia occulta avrebbe sicuramente aumentato la paura nello spettatore occidentale. Così invece Don’t Look At The Demon rimane più che altro un film che scimmiotta quel cinema statunitense fatto con lo stesso solito stampino.
Don’t Look At The Demon è distribuito nelle sale da 102.
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