Teniamo d’occhio Ryan Kruger di Liverpool, ma da anni in Sud Africa, che debutta con Fried Barry nella lunga distanza partendo da un suo omonimo corto del 2017.
Teniamolo d’occhio perché qualcosa c’è. Innanzitutto la sua idea di cinema che miscela generi e sensazioni. L’amalgama non sempre funziona ma l’intenzione di voler unire cose e stati d’animo differenti è da apprezzare, soprattutto per il modo allucinato che qui propone nel raccontarli.
Fried Barry è innanzitutto un film cazzone con protagonista un eroinomane di mezza età (Gary Green) senza lavoro (Fried anagramma di Fired) che dopo un rapimento alieno continua a frequentare compagni di merende e ad incontrare personaggi fuori dagli schemi. Ma tra le tante situazioni assurde (drogherecce e scoperecce) farà anche del bene. A moglie (Chanelle de Jager) e figlioletto che prima ignorava mostrerà segnali di affetto. A dei perfetti sconosciuti, incontrati per caso nella sua città di Cape Town in Sud Africa, cambierà la vita grazie ai suoi poteri magici acquisiti. Fried Barry mantiene uno sguardo ilare sul mondo anche quando dovrebbe farsi serio. Un punto di vistadalle parti del demenziale che va via raramente, ad esempio con l’entrata in gioco di uno schifoso pedofilo (Tamer Burjaq). Per il resto è un viaggio allucinante e visionario senza preamboli, che comincia con una pera e continua con uno dei sequestri di persona alieni più pazzeschi e dolorosi di sempre. E poi c’è Gary Green, dal volto incredibile.
Dicevo che non convince l’amalgama, la saldatura tra i vari pezzi che costituiscono Fried Barry.
Sensazione confermata dal fatto che la sceneggiatura è stata scritta da Ryan Kruger in tre giorni, con molti dialoghi e situazioni inventati mentre si girava. Con un po’ di cura nella costruzione delle fondamenta potrebbe regalarci cose notevoli. Anzi, non “cose” come lui stesso definisce i suoi lavori, ma finalmente “film”.
Fried Barry è stato presentato al trentottesimo Torino Film Festival nella sezione “Le Stanze di Rol”.
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