Mentre creavo il post in cui scrivere la recensione su Nahzar di Paolo Treviso mi sono reso conto di una cosa: la religione è un argomento che sta tornando spesso nel cinema indipendente che più seguiamo. Fabrizio La Monica partecipa al secondo After Midnight con Abyssus e realizza un lungometraggio dal titolo Dio Non Ti Odia. Daniele Zinelli realizza il corto Good Man – Onora il Padre e la Madre, vincendo il quinto Abruzzo Horror Festival. Di recente escono anche il corale internazionale 7 Sins e i film Buio di Emanuela Rossi e Beyond The Omega di Mattia De Pascali. Davide Pesca gira i due Suffering Bible ed architetta il corale Death of the Ten Commandments.
Sono lavori nei quali non c’è la classica guerra bene contro male: che so? Una persona o un luogo posseduto, da una parte, e un prete che libera con un esorcismo dall’altra.
Si tende invece a mostrare la nostra religione non come salvifica ma come terreno di molestatori, luogo di ipocrisie e corruzione.
Paolo Treviso partecipa al collettivo di Pesca con la sua versione del comandamento “Non commettere atti impuri” e gira il lungometraggio Nahzar: racconto dell’avvento di un nuovo messia ai giorni (più o meno) nostri.
E lo fa con un linguaggio cinematografico inusuale che elimina (quasi) del tutto i dialoghi e li fa raccontare-interpretare dalla voce di un ambiguo narratore.
Un nuovo salvatore che si aggira tra luoghi desolati abitati da persone ai margini della società, fricchettoni, prostitute, tossici e balordi ma che non disdegna l’alta società. Un redentore che appare in una allucinazione ed è capace di esorcizzare una indemoniata semplicemente dicendole “Non cercare di attirare la mia attenzione.”.
Nahzar mostra numerosi corpi nudi, soprattutto femminili, vero tabù del mondo moderno occidentale fortemente manipolato dal cattolicesimo. Basti vedere quello che succede sui social network quando ne pubblichi uno. Corpi nudi che trombano anche, e in maniera molto realistica per giunta.
Al di là di questa provocazione che sicuramente turberà qualche bacchettone moralista, la vita del nuovo salvatore è raccontata con un ritmo onirico e uno sguardo a volte visionario, altre volte poetico.
Tutto molto poco mainstream e per questo da apprezzare.
Il difetto del film sta nel finale un po’ affrettato, con la condanna a morte del nuovo Messia che arriva di colpo subito dopo l’ultima cena, accennando solamente al processo. Il confronto con le autorità, l’interrogatorio, forse doveva esserci.
Una visione Nahzar la merita comunque tutta, considerando anche gli sforzi del regista Paolo Treviso che realizza il suo film sperimentale autoproducendoselo.
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