Quando si tratta di serialità per ottenere un buon risultato, e uscirne vivi, bisogna camminare sul filo del rasoio. Bisogna prendere un po’ di qua e di là dai film precedenti (atmosfere, personaggi) per mettere a suo agio lo spettatore affezionato della saga, ma senza esagerare perché altrimenti si rischia di fare una fotocopia dei precedenti. Mantenersi a metà strada, restare fedeli ma nello stesso tempo allontanarsi dalla casa materna.
Leatherface (prequel di Non Aprite Quella Porta) riesce a spiazzare innanzitutto con una storia che sorprende per come è pensata e sviluppata.
Quello che pensavo (pensavamo) fosse Leatherface in realtà non lo è. Il futuro Faccia di pelle è chi meno t’aspetti, quello che sembrava il più normale del gruppo di matti in fuga. Perché la sua è una pazzia tenuta a bada con molte difficoltà, di quelle che prima o poi esplodono.
Perché non sappiamo guardare nei piccoli importantissimi particolari che sono la chiave per capire tutto, perché la sceneggiatura di Seth M. Sherwood vuole questo ed è scritta bene e la regia di Alexandre Bustillo e Julien Maury la esalta. Era tutto un depistaggio, a cominciare dalla campagna pubblicitaria terminata con quell’ultima locandina con Bud che trascina un cadavere. Tutto architettato ad arte. Ci siamo cascati. Bravi anche quelli che hanno curato tutta questa menzognera preparazione mediatica.
Che il futuro Faccia di Pelle sia un altro in qualche modo vuole forse suggerirci che il male è ovunque, che siamo tutti dei potenziali Leatherface o delle potenziali sue vittime.
Non aprite quella porta trasmetteva benissimo questa seconda paura. I poveretti che davano il passaggio all’autostoppista, la loro pacifica violazione di domicilio che li portava in braccio alla morte in un attimo.
Qui si prosegue quel discorso e lo si porta all’estremo perché, eccetto l’infermiera che viene rapita dal gruppo, non ci sono protagonisti innocenti. Gli innocenti sono messi agli angoli dal gruppo in ruoli marginali da comparsa senza battute. Basta incrociarli lungo il loro percorso, basta avere la sfortuna di mangiare nel posto sbagliato, fare il mestiere sbagliato, possedere un arma nel posto sbagliato (il diner, il Texas). Il bene non ha scampo, la quiete (pubblica, mentale) è destinata a durare poco.
Lo spirito, le atmosfere e i temi presenti nei film di Tobe Hooper li ritroviamo un po’ ovunque in Leatherface – Il massacro ha inizio.
Penso ad esempio alle scopate dei due Natural Born Killers/Zucchino e Pasticcino che coinvolgono un cadavere in putrefazione che fa tanto Ed Gein ma anche Buio Omega, all’estremo sadismo di molti personaggi, al caldo appiccicoso del Texas, alle sue fattorie puzzolenti sperdute nel nulla, anche se il film è stato girato in Bulgaria per motivi di budget.
A tifare per il Male, il futuro Leatherface avrebbe fatto bene a presentare il gruppo in fuga alla sua famiglia perché, chi per una cosa chi per un altra, quei ragazzi hanno tutti delle caratteristiche affini ad essa, e forse è quello che voleva fare con uno di loro in particolare. La cosa non accade e la molla scatta, la scintilla fa partire la miccia e tutto si compie.
Probabilmente l’amichetto del figliol prodigo sarebbe piaciuto a mamma/nonna Verna, che della famiglia ha un concetto strano, di feroce chiusura ma anche forse di cauta apertura. Comunque sia il richiamo della foresta, il richiamo di casa, di Verna e di tutta la sua malatissima famiglia allargata, a un certo punto arriva a completare la sua trasformazione. È nei suoi geni, è un Sawyer e non può farci niente e anche se non fosse un Sawyer è cresciuto comunque in ambienti malati (quella famiglia e il manicomio) che ti mandano il cervello in pappa.
Per tutto questo Leatherface – Il massacro ha inizio mi sembra un buon film, però non entusiasmante ed eccezionale come qualcuno sta scrivendo preso dalla foga del momento.
Perché c’è una grossa fetta di paraculagine in un film del genere. Per prima cosa non dobbiamo dimenticarci che il cinema è un’industria che vuole far soldi, e qui in un certo senso torniamo a quella strada di mezzo tra innovazione e fedeltà che dicevo all’inizio. La tradizione, il non voler rischiare restando sulla vecchia strada battuta, si vede e si sente nei didascalismi. Si sente nelle musiche; si vede quando ci mostra quello che ci aspettiamo dal film ma che in fondo sarebbe stato meglio non mostrare come la prima costruzione della maschera di pelle; in alcuni personaggi un po’ troppo tagliati con l’accetta e sopra le righe, negli eccessi di sangue così moderni ma lontani dai suggerimenti del primo film di Hooper.
Gli riconosco il coraggio di aver voluto indagare sulle origini di un’icona del cinema horror fregandosene dei numerosi rischi che una cosa del genere comporta.
Utile o non utile che sia, Leatherface funziona tutto sommato bene principalmente grazie ad una storia dagli sviluppi narrativi quasi mai banali se non fosse per la parte finale, dopo lo svelamento, in cui tutto si banalizza un po’.
Trattandosi di un franchise, di un prodotto pensato principalmente per incassare, bisogna riconoscere che è un mezzo miracolo.
Fondatore e amministratore del sito.
Contatto: robertojuniorfusco@klub99.it
Lascia un commento