Sei donne per l’assassino.
Diretto da Mario Bava nel 1964, è considerato un film estremamente importante per il cinema italiano di genere, perché codifica definitivamente le regole del giallo all’italiana. Sei donne per l’assassino è stato anche l’ispiratore inconfessato dei primi film di Dario Argento. Il killer vestito di nero, senza volto e con i guanti sarà uno dei topoi del genere giallo italiano. Il film ottenne buone critiche alla sua uscita nelle sale cinematografiche. I commenti si soffermarono sull’uso della fotografia e sul sadismo dei delitti, ritenuto però eccessivo. Alla fotografia un fedele di Bava, Ubaldo Terzano, che è stato operatore (guarda caso!) anche per Argento.
In compagnia dei lupi.
Fra i film del regista di Intervista col vampiro e La moglie del soldato troviamo il poco diffuso In compagnia dei lupi; stiamo parlando di quel genio che è Neil Jordan, che meriterebbe di stare in questa lista anche per il magnifico Bizantyum.
TRAMA: In sintesi, la fiaba di Cappuccetto Rosso, come mai è stata raccontata, ricca di pulsioni sessuali e sottotesti. Rosaleen è una ragazzina dalla fervida fantasia, figlia di una famiglia ricca, e che vive in una grande casa al limitare di una brughiera. Un giorno la ragazza si addormenta nella sua stanza e comincia a sognare. Nel sogno si ritrova in epoca medioevale, e vive con i genitori e la sorella in un paesello al limitare di un bosco fiabesco infestato dai lupi, che attaccano spesso il paese uccidendo bestiame e, talvolta, anche qualcuno degli abitanti. Una notte la sorella, avventuratasi nel bosco, viene assalita e uccisa da un branco di lupi. Dopo i funerali della ragazza, Rosaleen decide di trascorrere la notte a casa della nonna, un’anziana signora eccentrica.
Il film, del 1984, è ispirato alle storie sui lupi mannari presenti nella raccolta di racconti La camera di sangue di Angela Carter (La compagnia di lupi, Lupo-Alice e Il lupo mannaro). La stessa scrittrice collaborò con il regista alla stesura della sceneggiatura; il film e fu girato interamente in Inghilterra negli Shepperton Studios. Vincitore di festival quali SITGES, FANTASPORTO, AVORIAZ. Agli effetti speciali (indimenticabili) Christopher Tucker (Il quarto uomo, Elephant man, Il senso della vita) e Rodger Shaw (Dark Crystal, Indiana Jones e il tempio maledetto) e alla fotografia Bryan Loftus (indimenticabile quella del gioiello drammatico Il giardino indiano, l’horror Antisocial e vari videoclip di Madonna).
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THE COMPANY OF WOLVES, Sarah Patterson, 1984, (c) Cannon Films -
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Le orme.
Angosciante, sperimentale, diverso.
Footprints on the Moon è un film del 1974, scritto da Mario Fenelli e Luigi Bazzoni, coerentemente sviluppato tra psicodramma e fantascienza, e diretto da Luigi Bazzoni regista purtroppo poco attivo, scomparso nel 2012.
TRAMA: Alice (Florinda Bolkan) trascura il lavoro e gli amici ossessionata da un improvviso sdoppiamento di personalità che le fa credere di vivere contemporaneamente due vite diverse e di essere minacciata da un misterioso assassino. La donna tenta di sfuggire all’angoscia abbandonandosi alla droga e viaggiando, ma, durante una vacanza in Turchia, crede di riuscire a far luce in se stessa mettendo assieme labili indizi e seguendo strane premonizioni. Causa del suo malessere sarebbe il trauma per avere assistito ad un filmato nel quale un cinico scienziato (Klaus Kinski) sottoponeva a dolorosi esperimenti un astronauta atterrato sulla Luna. Ma l’equilibrio psichico è ormai compromesso e per Alice, macchiatasi dell’omicidio di un uomo che forse intendeva aiutarla, si aprono inesorabilmente le porte di una clinica per malati mentali.
La bellezza glaciale della Bolkan incarna alla perfezione il personaggio bipolare di Alice. Tutto in questo film è un estraniante BIANCO, tutto è LUCE… quasi in una anticipazione/ispirazione per il FILM BIANCO di Kieslowki.
Alla fotografia c’è un nome che non ha bisogno di presentazioni: Vittorio Storaro. Suggestiva l’ambientazione geometrico/metafisica romana (quartiere EUR) contrapposta alla bellezza manieristica e “morbida” di Garma, in Turchia.
Il quarto uomo.
Indubbiamente uno dei miei film preferiti di sempre, questo misconosciuto (ai giorni nostri, ahimè!) film diretto dal regista olandese Paul Verhoeven (RoboCop) è uno di quei film che non dovrebbero mancare nella collezione di ogni appassionato. Questo spietato e fatalista thriller del 1983 è tratto dal romanzo omonimo di Gerard Reve, ed è interpretato magistralmente da Jeroen Krabbé (Il fuggitivo, Ocean’s Twelve) e Renée Soutendijk.
TRAMA: Gerard è un giovane scrittore di successo, omosessuale, con gravi turbe psichiche di tipo paranoide. Invitato a tenere una conferenza in una città olandese, conosce Christine, misteriosa ed affascinanto donna, della quale accetta la corte serrata. Invitato a trascorrere con lei tutto il fine settimana, Gerard accetta ma non tanto per le insistenze della donna, quanto perché vuole conoscere un altro amante della donna, da lui casualmente incontrato il giorno prima alla stazione, e dal cui fascino era rimasto turbato.
La fotografia è di Jan de Bont, che oltre aver firmato la fotografia di cult come Cujo o Basic Instinct ha anche diretto film come Speed e Tomb Rider: Cradle of life.
Il nido del ragno.
Curioso, originalissimo e sottovalutato film del 1988 diretto da Gianfranco Giagni, regista che dopo aver diretto la serie erotica fantasy per la TV Valentina con Demetra Hampton, si è dedicato alla regia di documentari.
TRAMA: Alan Whitmore è un professore di religioni orientali incaricato di andare a Budapest per indagare sul perché il suo collega, il professor Roth, non fa più avere sue notizie. Withmore riesce a raggiungerlo e a parlargli poco prima che il professore venga ritrovato impiccato nella sua camera. Da quel momento Withmore si ritrova invischiato in una serie di affari loschi con al centro una misteriosa setta segreta.
Echi “lovecraftiani” in questo horror-fantastico di difficile reperibilità home video, in cui spiccano i notevoli effetti di Sergio Stivaletti (qui in uno stato di grazia).
La fotografia è del maestro Nino Celeste, che ha lavorato nella sua carriera – tra gli altri – nei film di Pier Paolo Pasolini, Damiano Damiani, Carlo Lizzani, Lucio Fulci, Mario Bava, Roberto Faenza, Liliana Cavani, Umberto Lenzi. Celeste gioca con luci colorate ed atmosfere rarefatte che costruiscono una Budapest magica.
Salve! Io mi chiamo Antonietta Masina e… già, con un nome così, non potevo che amare il cinema.
Son quindi cresciuta fra scherzi, assonanze e rimandi…ad una delle attrici (e muse) più immense; non potevo non conoscere lei (Ovvio, parlo di Giulietta Masina!) ed i film che ha interpretato; grandi film di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Alle medie, il mio nome venne rielaborato dai compagni di classe in “Antonomasia” e, mentre le altre bambine giocavano con i principi azzurri, io sognavo… sognavo quei cappelli, quei costumi, quei colori… che mi portavano su altri piani di realtà nonostante Fellini stesso affermasse “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Ai tempi del liceo poi, si parlava spesso con amici su quale fosse la “Birra per Antonomasia”, “la Canzone per Antonomasia” o “il Film per Antonomasia”… che quasi predestinata, scelsi poi di studiare comunicazione per poter lavorare in questo campo, e far sì che “Antonomasia” in persona potesse rispondere alle loro domande!
Chi scrive è una ragazza, anzi, una “persona” che ama il cinema; Il cinema quello fatto con passione, con serietà, ma non seriosità; il cinema condiviso e discusso con chi lo ama, con chi va al cinema (e andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì).
Ho una forte predilezione per il cinema fantastico ed horror, il mio fine non è solo quello di condividere i miei pensieri o recensire un film specifico (NON sono un critico, né conosco tutto… anzi, ho molti limiti e carenze che spero di colmare), ma anche discutere sulle motivazioni ed i sottotesti di interi generi.
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