Già dal titolo (che tradotto letteralmente sarebbe “Buona Novella”) il film fa presagire la crudeltà grottesca tipica di certi horror anni ’80, capolavori immortali e mai dimenticati… e purtroppo al giorno d’oggi raramente emulati.
Da molto tempo oramai assistiamo ad una contaminazione multimediale che spazia dai social alla musica, dal cinema al teatro, passando anche per le arti visive; e sebbene questo non sia un male, col “fanatismo” della contaminazione si è perso di vista il buon modello originale, al punto tale che (seguendo una moda spesso fortunata) si è giunti a spogliare l’horror quasi di ogni connotazione orrorifica.
L’abuso dei “jump scares” (i colpi di scena che fan saltare sulla poltrona) che dalla fine degli anni ’90 son stati spesso enfatizzati più da effetti sonori che da abilità registiche, han portato alla realizzazione di svariate opere dove per scelta la suspense viene a mancare a favore di soluzioni orrorifiche più intellettuali. L’abuso di “effettacci” (specie nei B-Movies) usati per compensare la mancanza di idee, ha portato molti registi al rifiuto di voler mostrare perfino una singola goccia di sangue.
E sebbene alcuni recenti esempi di queste tendenze registiche son dei gioiellini indiscutibili (da Conjuring a Babadook passando per The Witch o It Follows) molte altri, son solo film che sfociano in noia ed una “autorialità” presuntuosa e pretestuosa (Maggie, Lazarus Effect).
Non mancano anche dozzine di buoni film, ma davvero si può affermare che abbiamo visto negli ultimi anni “solo” Horror/Comedy, Horror/Fantasy, Horror/Drama, Horror/Sexy, Horror/Extreme, Horror/Piscologico… e poi “originalissimi” sequel, prequel e remake resi “appetibili” solo dalle partecipazioni delle star di turno.
Iniziavo davvero a sentire la mancanza di uno schema classico, di una trama semplice e funzionale, di un assassino nuovo e cattivo, senza troppi approfondimenti emozionali che dovrebbero portarmi a compatirlo, amarlo, conoscerlo (o perfino difenderlo).
Da tempo sognavo un bel villain misterioso e senza volto come quelli di Black Christmas o di Halloween… e Good Tidings per natale me ne ha regalati addirittura tre!
Vincitore come “Best Feature Film” alla seconda edizione dell’Optical Theatre Festival 2016, il film è stato scritto, diretto e prodotto da Stuart W. Bedford (già autore di Hybrid e An Easter’s Tale) in collaborazione con l’italiano Giovanni Gentile e Stu Jopia. Questo titolo si inserisce con dignità fra gli horror a sfondo “natalizio” più importanti, elevandosi non solo come uno dei migliori film festivi del momento.
La trama presenta la classica struttura dell’assedio (tanto cara a Carpenter): personaggi braccati all’interno di un luogo, in cui devono giocarsi la vita per fronteggiare il cattivo di turno.
Su questa base vengono in mente film come Deliria, Distretto 13, La notte dei morti viventi, ed il luogo in questione è un ex palazzo di giustizia dove abusivamente dei senzatetto si son accampati sotto Natale per avere un riparo dal freddo ed una casa in cui festeggiare.
Approfondiamo le vicende di alcuni di loro, con brevi momenti e situazioni che ce li fanno sentire vicini, vivi, credibili anche grazie ad interpretazioni attoriali di alto livello.
Quello che apprezzo del film è che poteva facilmente rischiare di scivolare nella tentazione di affrontare l’aspetto morale e metaforico della vicenda (con la categoria dei reietti sociali, il cattivo, il capitalismo, il natale etc) ma, fortunatamente, gli autori con intelligenza han continuato a fare “solo” un horror… ed ecco che (accompagnati da una godibilissima e cupa musica, firmata da Liam W. Ashcroft) arrivano tre psicopatici travestiti da BABBO NATALE, fuggiti forse da un manicomio e che, senza un preciso perché, iniziano a fare mattanza degli occupanti abusivi della struttura.
Nonostante gli assassini non parlino mai e siano vestiti identici e tutti e 3 (e tutti con la stessa inquietante azzeccatissima maschera) i tre attori ed il regista riescono a caratterizzarli uno per uno, riuscendo anche in questo caso a dare spessore e credibilità a delle figure che altrimenti sarebbero rimaste grottesche e/o caricaturali. I tre sanguinosi “Babbi Natale” sono anche i vincitori del premio “Best Villain” all’Optical Theatre Festival.
Gli effetti speciali sono artigianali e qualitativamente discreti, e anche questa è una nota da non dover affatto far passare in secondo piano in un èra dove il digitale “mette una toppa” a tutto.
Dopo tanti anni, finalmente possiamo dire che questo piccolo film, non perfetto per carità, finalmente ricolloca l’horror al suo posto.
La fotografia è un po’ piatta e certe scene sembrano risolte con molta fretta (specie il pre-finale) ma dobbiamo ricordare che gli autori indie non godono dei budget e dei tempi di ripresa consentiti ai film “normali”… quindi son imperfezioni sulle quali possiamo tranquillamente soprassedere.
Di certo non so immaginare cosa farebbe David Gelb se avesse a disposizione un budget di sole 15.000 sterline invece che di 3 milioni di dollari… ma so CHIARAMENTE immaginare cosa potrebbero fare questi ragazzi con quella cifra.
Aggiungo una postilla che esula un po’ dalla critica del film in sé, ma ci tengo a farla: seguo il “team” formato da Jopia, Gentile e Bedford sui social e son rimasta colpita non solo dall’affiatamento, positività e spirito di gruppo che i 3 trasmettono… ma devo dire che essi sono fra i pochissimi cineasti (indipendenti e non) che spendono parole positive e di incoraggiamento per i loro colleghi (anche se non amici) arrivando a creare perfino post promozionali per le uscite dei film altrui.
Questa si chiama classe, ragazzi.
Questo significa amare davvero il cinema. Non solo “il proprio cinema” quindi, ma il cinema in generale.
Salve! Io mi chiamo Antonietta Masina e… già, con un nome così, non potevo che amare il cinema.
Son quindi cresciuta fra scherzi, assonanze e rimandi…ad una delle attrici (e muse) più immense; non potevo non conoscere lei (Ovvio, parlo di Giulietta Masina!) ed i film che ha interpretato; grandi film di uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Alle medie, il mio nome venne rielaborato dai compagni di classe in “Antonomasia” e, mentre le altre bambine giocavano con i principi azzurri, io sognavo… sognavo quei cappelli, quei costumi, quei colori… che mi portavano su altri piani di realtà nonostante Fellini stesso affermasse “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Ai tempi del liceo poi, si parlava spesso con amici su quale fosse la “Birra per Antonomasia”, “la Canzone per Antonomasia” o “il Film per Antonomasia”… che quasi predestinata, scelsi poi di studiare comunicazione per poter lavorare in questo campo, e far sì che “Antonomasia” in persona potesse rispondere alle loro domande!
Chi scrive è una ragazza, anzi, una “persona” che ama il cinema; Il cinema quello fatto con passione, con serietà, ma non seriosità; il cinema condiviso e discusso con chi lo ama, con chi va al cinema (e andare al cinema è come andare in Chiesa per me, con la differenza che la Chiesa non consente il dibattito, il cinema sì).
Ho una forte predilezione per il cinema fantastico ed horror, il mio fine non è solo quello di condividere i miei pensieri o recensire un film specifico (NON sono un critico, né conosco tutto… anzi, ho molti limiti e carenze che spero di colmare), ma anche discutere sulle motivazioni ed i sottotesti di interi generi.
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