Nella piazza c’è un tizio che beve una birra appoggiato alla statua di Puccini, ma il Maestro sembra assorbito da pensieri più profondi. Maledetta la mia abitudine di arrivare in anticipo: sono le 20 e 30 e sono già qui, davanti al cinema Centrale di Lucca, a chiedermi se non sia il caso di allungare la lista dei caffè della giornata. Non dormo da due giorni e con la caffeina che mi circola nelle vene anche stasera, per conquistare il sonno, sarà battaglia. Però sono qui, all’anteprima del film di Ruggero Deodato, ragazzo del ’39 che non realizza un film da 23 anni. Perché?
La cassiera mi snocciola tutte le possibilità di guadagnarmi un biglietto scontato. Non posso coglierne nemmeno una. Mi guardo intorno e vedo apparire a poco a poco il resto del pubblico. Simboli di passione, appaiono uno dopo l’altro tizi con magliette feticcio: “La Maschera del Demonio”, “Texas Chainsaw Massacre”, poi l’imprescindibile “Cannibal Holocaust”, film di Deodato che ha inventato uno stile.
Non c’è il rischio di una serata revival, celebrata sull’altare dei tempi in cui il cinema non sospettava neppure di poter esser divorato da Internet?
Un passo avanti: ho capito che sono qua proprio perché non so cosa aspettarmi e nutro forzatamente la speranza di vedere ancora quel cinema che mi ha segnato e che mi porto appresso, quello fatto di fantasia e improvvisazione, di coraggio e spensieratezza. Ci accomodiamo. Il cast e Deodato tardano, quindi si chiacchiera tra sconosciuti. Molti spettatori hanno con sé la copia di Cannibal Holocaust e si chiedono se avranno occasione di guadagnare un autografo. C’è una folta schiera di spettatori solitari, quelli sistemati a distanza di sicurezza dagli altri. Si faceva così nei cinema porno di periferia, vero?
Un bravo presentatore rompe gli indugi e introduce Deodato e gli attori Noemi Smorra, Carlotta Morelli, Gabriele Rossi. E Claudio Simonetti, autore delle musiche. La presentazione per fortuna è breve, ma lascia nell’aria la sensazione di affiatamento e di calore.
Il film. Prime impressioni di ritmo e musiche su misura. Ho letto che il soggetto si ispira decisamente al delitto di Meredith Kercher avvenuto nell’ambiente universitario di Perugia. Anche qui è la notte di Halloween e tutta la città si è travestita di cosciente pazzia. Nell’appartamento dei protagonisti il tempo ha perso il suo filo logico e i fatti sono diventati complici involontari di alcol e droghe. Nel ricostruire una notte dai contorni capovolti, segnata dal fil rouge della morte di Elizabeth (Noemi Smorra), il film procede con ritmo coerente, lasciando respirare le pieghe della storia e consentendo ai personaggi di guadagnare lentamente uno spessore. Molte scene sono crude, ma non gratuite o fini a se stesse. C’è uno sguardo cinico diffuso in cui non traspaiono però né toni di superiorità né di giudizio.
Il film mi coinvolge, ma non mi voglio ancora illudere. Rivolgo un paio di volte lo sguardo alle facce (bluastre, viola, scure) degli altri spettatori e le trovo attente, concentrate. Mi aspetto comunque di veder comparire una soluzione cazzona da un momento all’altro, di quelle viste e riviste centinaia di volte nei vari maldestri tentativi di altri registi più o meno blasonati, ma le scene meno verosimili sono smorzate dall’ironia e tutto continua a filare. Gli attori continuano a crederci. Navigando sulle onde di una colonna sonora a tratti esaltante, arrivo al finale sperando di non trovarci niente di consolatorio o improvvisato. Arriva invece la scena migliore del film, alla pari di quella del ritrovamento del cadavere: poesia, ironia, un pizzico di surrealismo. Il film ora è finito e posso dirlo: sono contento di essere qua. Ci sono applausi diffusi. È un film, rifletto tra me, dal budget molto ridotto, in cui le inquadrature e le scelte di rappresentazione sono ovviamente ridotte all’osso, ma è un film onesto, che ha una sua direzione coerente, mai abbandonata dall’inizio alla fine e ne sono contento. Recitato poi con intenzione e passione.
Scorrono i titoli, si accendono le luci e inizia il “Ruggero Deodato Show”. Il regista appare rilassato e ben disposto a raccontare. Spiega perché a un certo punto ha inserito “quella cazzata tarantiniana”, si sofferma sul mistero della concessione dei contributi ministeriali, racconta le difficoltà del primo giorno di ripresa con attori, tutti, alle prese con il primo vero lungometraggio. Divaga, gigioneggia, provoca la mamma della Morelli che, in platea, ha assistito alle molte scene di nudo della figlia. Sembra di stare comodamente seduti nel salotto di casa Deodato, davanti al camino acceso e a un bicchiere di rosso da meditazione. Potenza delle emozioni contagiose. Prima di arrivare alle domande del pubblico passano una ventina di minuti, in cui un tema ritorna più volte, nonostante l’interessata cerchi di riportarlo verso considerazione più tecniche sulla recitazione. Parlo della sensualità del corpo della Morelli. Sono tentato dal prendere il microfono e mettere in evidenza il nemmeno tanto sottile maschilismo di fondo, ma il clima è gioviale, non voglio fare il guastafeste. Piuttosto, vorrei spendere due parole per la Smorra, che non mi è sembrata da meno né riguardo alla recitazione né riguardo alla fisicità. Di nuovo, mi trattengo. Alla fine mi spendo per una domanda sul cinema di genere. Deodato, chiedo, ma il cinema di genere è ancora il modo giusto per rappresentare la realtà? “Io sono più neorealista di Rossellini”, risponde Ruggero, spiegando che per lui il cinema di genere ha un profondo legame con la cronaca e con la realtà di concetti come quello della morte verso i quali, col tempo, ci stiamo via via sempre più vaccinando. Il gran finale dello show è riservato ai presunti registi emergenti del cinema di genere italiano. Deodato, spalleggiato da Claudio Simonetti, li distrugge a uno a uno, relegandone solo qualcuno, con benevolenza, a semplice imitatore. E’ il momento degli autografi, ma io preferisco andarmene e, raggiunta l’auto, far risuonare dentro la testa, libere, parole e immagini molto più preziose di qualche scarabocchio.
Il cinema ci allena a guardare il mondo con distacco, eppur col massimo coinvolgimento. A immaginare, potendo pur tornare alla realtà. A giocare col fuoco, bruciandoci quel tanto che basta a farci sentire vivi. Sono un formatore in competenze relazionali, appassionato di racconti e di sviluppo personale.
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