Quella casa nel bosco entra di prepotenza all’interno del genere horror sulle case infestate, maledette, assediate e lo fa aggredendone le convenzioni, i cliché. Tutto è come deve essere per un film del genere a partire dai suoi protagonisti: cinque personaggi che più stereotipati non si può: il fattone, l’atletico, il secchione, la zoccola e la verginella soli in una casa in mezzo al nulla di un bosco. Giocano ad obbligo o verità quando la botola della cantina si apre da sola, titubanti alla fine scendono e scoprono un mucchio di strani oggetti e un diario di una ragazzina risalente all’inizio del secolo scorso che non racconta proprio cose tranquille. Perché i cinque sono lì in quel posto, ad un passo dallo scegliere inconsapevolmente di che morte morire?
Questa è una domanda che probabilmente -almeno una volta nella vita- ognuno di noi appassionato si è fatto. Possibile che, nel cinema, tutti quelli che finiscono in un posto isolato (per scelta o per sfortuna) sono quasi sempre destinati a finire male? Per quale motivo a turno i protagonisti si allontanano dal gruppo per trovare morte certa? Perché va sempre in questi modi? Quale fattore spinge gruppi di ragazzi a trovarsi in quel preciso posto in quel preciso momento? Il destino è la risposta che fino ad ora il cinema ci ha dato. Ash e i suoi amici, i ragazzi del camping di Kristal Lake, Paul, Karen e tutti gli altri si ritrovano in una situazione simile per puro e semplice fato.
Ed è qui che Quella casa nel bosco prende una strada piuttosto originale. Marty, Curt, Holden, Jules e Dana invece si trovano nella baita perché qualcuno li ha voluti lì. E non aggiungo altro, i perché e i percome.
Quella casa nel bosco (The cabin in the woods) è un ragionamento originale sul processo creativo, su dove è arrivato un genere e su come si può rinnovarlo pur raccontando ancora una volta la stessa storia ma in maniera completamente diversa.
Autori dello script Joss Whedon (l’inventore di Buffy, il regista di The avengers, lo sceneggiatore di Alien: la clonazione, mica il primo capitato) e lo stesso regista Drew Goddard qui al suo esordio dietro la macchina da presa ma giù autore della sceneggiatura di Cloverfield. Ne esce fuori un horror divertente, esoterico, che supera i confini del genere per cibarsi anche di fantascienza cospirativa, un altro genere che a Whedon e Goddard piace un casino.
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