Max Cohen è un matematico dalla filosofia secondo la quale tutto è riconducibile ai numeri. Così infatti ripeterà nel corso del film:
-La natura parla attraverso la matematica-
Tutto ciò che ci circonda si può rappresentare e comprendere attraverso i numeri-
Tracciando il grafico di qualunque sistema numerico ne consegue uno schema. Quindi ovunque in natura esistono degli schemi.
Per questo cerca una formula universale in grado di predire tutti gli eventi, comprese le quotazioni della borsa di New York. I suoi studi fanno gola a molti finanzieri che vorrebbero sfruttarli, ma lui odia il mondo del business. Le cose materiali non fanno per lui, con la sua eventuale scoperta vorrebbe predire – ci sembra di capire – le prossime carestie e cose del genere. Vorrebbe cioè aiutare i deboli e non i forti ma vive in un mondo di squali che non sente suo. Max è un maudit, un ebreo che non ama il denaro (sull’abbattimento di questo luogo comune si potrebbe approfondire anche nella misura in cui Aronofsky è ebreo), fuori dagli schemi, fuori posto che non ha amici.
Se si escludono le visite a Sol Robeson (Mark Margolis), il suo vecchio professore universitario, Max starebbe sempre chiuso nel suo appartamento-laboratorio a Chinatown. Non gradisce le visite di una bella vicina di casa, meglio tollera quelle di una bambina che gli propone sempre difficili operazioni matematiche.
Max è uno scienziato pazzo dei giorni nostri che vuole emulare dio e finisce per farsi del male. Il suo destino era già segnato, ma l’elemento che fa scattare il suo annullamento è dato da un virus che infetta il suo computer e stampa una serie di numeri che però lui, preso dal nervoso, cestina. Quei numeri sono la formula che tanto cercava. Come molti scienziati pazzi, che la soluzione ce l’hanno sotto gli occhi ma non la vedono, anche Max capisce il suo errore e disperato tenta di porvi rimedio.
Pi Greco – il teorema del delirio è il primo lungometraggio di Darren Aronofsky, il regista giunto alla celebrità con The Wrestler. Ad interpretare il matematico Max c’è Sean Gullette autore anche del soggetto la cui stesura è durata diversi mesi. Ecco cos’ha dichiarato a proposito della lavorazione: «Una delle cose legate al fatto che il regista sia un amico è che sa quali tasti premere».
Evidenti i richiami a Tetsuo di Shinya Tsukamoto, sia per l’uso del bianco e nero sgranato che per l’utilizzo di alcuni ambienti come quello della metropolitana o di una musica martellante e/o ipnotica o di un montaggio frenetico.
Dal punto di vista dei contenuti invece ci sono già tutti quelli che poi il regista ha continuato a trattare. A partire dall’ossessione che affligge il protagonista, un’ossessione che porta il protagonista a una finaccia che però è anche una rinascita. Ecco: i protagonisti dei film di Aronofsky devono toccare il fondo per vedere la luce. Max, Randy “The Ram”, Nina, tutti loro si fanno fregare dal mondo ma in fondo da se stessi.
Anche questa è solo una mia divagazione ma è il cinema di Aronofsky a portare fuori strada lo spettatore, a fargli intraprendere un viaggio spirituale in cui la mente divaga tra ciò che vede e ciò che ha visto, magari dentro di sé.
Con Pi Greco – il teorema del delirio insomma Aronofsky mette subito in chiaro di non essere un regista facile e apprezzabile da chiunque: i viaggi che si intraprendono nel suo cinema non finiscono nella luce ma con l’ascesa delle tenebre. Pivelli, siete avvertiti.
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