Sorprende decisamente l’ultimo Almodóvar, sembra quasi di vedere quello giovane che incontra quello recente. In questo La pelle che abito sembrano confluire tutti i temi vecchi e nuovi del regista spagnolo, dai dubbi sull’identità ai ragionamenti sul cinema.
Di fondo è una storia tetra con il mad doctor Ledgard/Banderas che per riavere la moglie morta suicida anni prima e vendicare sua figlia arriva a fare l’indicibile sequestrando una persona. Un segreto quello del medico destinato in qualche modo a non rimanere tale, vuoi per i sospetti di qualcuno, vuoi per la ribellione della persona segregata.
In questo caso infatti la sindrome di Stoccolma, un po’ come ne La orca di Eriprando Visconti, colpisce invece della vittima -come accade di solito- il sequestratore. Ancora una volta (come regola impone da Frankenstein in giù) la creatura si ribella al suo creatore pazzo (chi è causa del suo mal…) e il ribaltamento di ruoli sfocia in una storia sempre più nera che però lascia spazio a un po’ di luce. Un po’ grazie al comico-grottesco messo qua e là per stemperare il clima, ma soprattutto perché forse da questa situazione nasce finalmente un amore che prima era impossibile.
Ho citato La orca anche se il film non c’entra assolutamente niente, va precisato. Sono altri i rimandi piuttosto evidenti, due su tutti I violentatori della notte e Occhi senza volto.
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